Così cheta mai

Quanto poco è domo il desio di ciò che s’ama,
che fa d’un giorno cent’anni e d’un secondo un’intera vita
e d’improvviso quel che vuoi più s’allontana.

E se la carne brama ch’io la morda a voglia ardita,
avrò forti denti e lingua sciolta,
con il nettare che scorre tra i pendii nella salita.

Ma com’è vano posseder se possession non ti rivolta.
Quando ciò che il verbo cela i lesti occhi cercan strami
e si è in un attimo perduti come d’amor la prima volta.

E sempre vanno per solitari amplessi le lussuriose mani
e non v’è giorno o notte che di quel piacere non si faccia sposa,
quando le dita puntano all’eliso come al cielo i rami.

La vita insieme dalla mia ingordigia è stata presto erosa,
attende invano come a voler tuo il lesinoso grembo,
che a stento tocco quanto tu riposi e non si muove cosa.

Non scorre lesto come si confà questo fugace tempo,
che fa di noi eterni sognatori e mal celati amanti
e che permette al nostro folle volo il camminare a stento.

A rimembrar forte m’assale l’onta dei tumulti, tanti
che costringeva al nostro amor conteso un lento palesarsi
ma i tuoi sorrisi davan forza agli occhi di mirare avanti.

Sta negli amplessi più desiderati il nostro addormentarsi.
In quelli avuti e mal considerati geme il mio rimpianto
e dentro i persi che mai avremo indietro questo consumarsi.

Come Odisseo veleggio più lontano e cerco un altro canto.
La nave arranca tra i molti perigli e i vorticosi flutti
e sta nel viaggio più che nella meta il proverbiale vanto.

Ora dai giorni che vissuto avremmo colgo i nostri frutti,
col pensier domo poso in giù la pietra di una nuova casa
ov’io avessi il tempo di pensare ai miei futuri lutti.

La prolusione che mi fu impartita non è stata evasa,
l’amor materno, giogo dei tuoi vizi, dentro me fermai,
quando il prospetto di una vita nuova non ti ha dissuasa.

E ti ritrovo dentro un sogno e noto così cheta mai,
dubbio che il mondo non comprese appieno chi tu in vero fosti
e lì ripeti è così che m’amasti, è così che t’amai.

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